"Il bello di mettere i piedi sotto la tavola in Romagna" è un libro del fotografo Mirco Villa che propone un nuovo punto di vista sul legame tra cibo, paesaggio e territorio. La struttura dell'opera si basa sul calendario, per sottolineare l'importanza della stagionalità e dei ritmi naturali. Partendo dal 24 dicembre, il libro percorre le quattro stagioni dell'anno soffermandosi sulle date più significative per i romagnoli, i giorni in cui avveniva, e spesso ancora avviene, un evento speciale. Ad alcuni giorni del calendario infatti viene riconosciuta una particolare importanza, e questo libro ci accompagna alla scoperta dell'origine di alcune tradizioni e abitudini. Il volume comprende 67 ricette romagnole spiegate e illustrate seguendo l'intero percorso di realizzazione della pietanza. Non si tratta però del solito libro di ricette; piuttosto è un viaggio a tutto campo nel territorio romagnolo, attraverso brevi racconti di esperienze, usanze e tradizioni, a cui si affiancano splendide foto della Romagna. Le immagini, al di là dalla reale collocazione dei luoghi in cui sono state scattate, vogliono rappresentare idealmente gli scorci che si possono ammirare in questa terra ricca di bellezza e cultura.
L'autore racconta così il suo libro:
In un'epoca passata, molto più di oggi, le stagioni e il calendario agrario scandivano le abitudini alimentari e sociali. Il mio territorio, la Romagna, offre un'ampia gamma varietale di frutta, verdura, funghi, tartufi, ma anche carni e pesci, ed è conosciuto a livello mondiale per la sua arte culinaria. In questo libro ho cercato di riscoprire attraverso la fotografia il valore di ingredienti e ricette tradizionali contadine legate al calendario dei raccolti. Ho raccolto le ricette di piatti locali storici e della mia famiglia, in alcuni casi inevitabilmente modificati nel tempo, dando particolare rilievo alla stagionalità delle materie prime, alla territorialità rigorosamente romagnola, alla riscoperta del pane preparato come una volta. Ho pensato al bello e al buono della cucina di casa mia, a mia madre che tira la sfoglia a mano da quando aveva 8 anni, a mia nonna. Ho pensato al tempo in cui il cibo primario era la minestra che si mangiava col pane, e ciò che avanzava dal mezzogiorno si scaldava in padella la sera o la mattina successiva. Ho pensato ad un mondo dove l'azdora era capace di sfruttare con ingegnosità e sapienza il poco che aveva a disposizione per mettere in tavola il sostentamento per tutta la famiglia. Da qui sono partito per una ricerca sulle tradizioni della nostra tavola, in relazione al territorio, al folclore, al paesaggio. Ho scoperto, in quest'area relativamente piccola, un patrimonio di diversità: piatti di valle, di pianura, di collina e di montagna, che derivano dalle materie prime di ciascun territorio. Ho sperimentato che alcune pietanze, come la piadina o i cappelletti, sono presenti in una gamma di varietà tanto ampia quanto può esserlo quella dei dialetti. Ho trovato felici contaminazioni nelle terre di confine, che condividono con Toscana e Marche cultura e tradizioni gastronomiche.
Quando mangio, mi piace gustare con il palato e con la mente, e penso che la riuscita di un buon piatto non possa prescindere dalla qualità delle materie prime. Ma non può esserci qualità senza rispetto della stagionalità, i sapori e i profumi sono inscindibili dall'osservanza dei tempi naturali di maturazione e di crescita. Per questo ho cercato di cogliere l'essenza del legame tra ogni pietanza e il periodo dell'anno in cui essa veniva preparata.
Nei giorni comuni prevalevano zuppe di legumi, minestre con le erbe di stagione, piadina o polenta, e nei momenti di abbondanza verza e cavoli con (poca) pancetta. In molti casi il pane costituiva l'alimento principale, e si affiancava ai piatti poveri, oppure nelle zone montane entrava nella preparazione della ribollita o della zuppa di castagne. I cibi si friggevano con lo strutto, mentre il lardo veniva usato per dare profumo e supporto calorico. E poi, nei giorni delle grandi feste, ci si dedicava alla preparazione del brodo in cui cuocere la specialità più attesa e apprezzata: i sublimi cappelletti.
Pare che la tendenza dei prossimi anni sarà quella di mangiare meno ma meglio, privilegiando i pasti casalinghi e riservando il ristorante alle occasioni speciali. D'altro canto, anche la ristorazione si sta orientando sempre più verso la valorizzazione delle materie prime di qualità, con una ricerca che punta alla rielaborazione in chiave originale dei piatti della tradizione. Sono convinto che la sperimentazione e le nuove tecnologie possano contribuire all'evoluzione della cultura del cibo, facendo tesoro del patrimonio che ci è stato donato dalle generazioni precedenti e arricchendolo di nuove sfumature: nuovi sapori che si innalzano dalle solide fondamenta del cibo di allora.
Mirco Villa
"A pancia piena si ragiona meglio" è il secondo volume che il fotografo Mirco Villa dedica al valore culturale e sociale del cibo in Romagna, al paesaggio e all'ambiente da cui provengono le materie prime che sono alla base delle pietanze romagnole.
La struttura stessa del libro è basata sullo stretto legame esistente tra questi aspetti: in ogni pagina un'immagine aerea del territorio si affianca ad un'opera fotografica che rappresenta in modo originale e divertente un piatto romagnolo, spesso completato dalla ricetta e da una breve nota sulla storia o sulle tradizioni ad esso collegate. Ogni pagina potrà quindi essere consultata singolarmente o come parte di un percorso più ampio.
Il percorso inizia con l'evoluzione della cucina nel tempo, raccontando il legame tra il paesaggio agricolo e le tradizioni dal passato ad oggi.
Protagonista del secondo capitolo è il maiale con i suoi prodotti e le ritualità ad esso collegate, soprattutto in alcuni giorni dell'anno che per lungo tempo sono stati fondamentali per l'alimentazione delle famiglie.
Si passa poi alle tipicità davvero locali, ovvero quei prodotti che vengono preparati esclusivamente in un'area di estensione molto ridotta, a volte in un solo paese. Proseguendo, ci si sofferma sulla storia e sull'utilizzo di un ingrediente che può essere preparato in infiniti modi: l'uovo. Fotograficamente l'intero capitolo è dedicato alle frittate, che in passato venivano spesso preparate con quanto era disponibile al momento.
Una sezione a sé meritano il sale e l'olio, fondamentali per condire e preparare la maggior parte degli alimenti. La Romagna può vantare due produzioni di eccellenza riconosciute a livello internazionale: il sale di Cervia e l'olio di Brisighella. La storia di questi prodotti e di alcuni loro utilizzi poco conosciuti compongono il capitolo ad essi intitolato.
Il racconto prosegue con le pagine dedicate alla frutta, in cui le immagini rappresentano alcune delle passioni dei romagnoli ricreate con i frutti di stagione.
Dopo la frutta, per finire manca solo il digestivo. È proprio di questo prodotto che tratta l'ultimo capitolo, proponendo le ricette, i consigli e i momenti migliori per preparare 9 liquori romagnoli.
L'autore racconta così il suo libro:
La cucina è cultura, la cultura è tradizione, le tradizioni sono il frutto di dialoghi, sensazioni, emozioni, racconti, esperienze che poi portano a cambiamenti.
Il passato alimenta il presente.
In vari ambiti ho notato una tendenza sempre più marcata a richiamare il passato, a volte rimpiangendolo come un bene superiore ormai perduto. Questo lavoro non vuole seguire il filone nostalgico, ma fissare ciò che di buono possiamo trovare nelle nostre tradizioni affinché non si perdano e, anzi, costituiscano le fondamenta di ciò che siamo e possiamo diventare. Come scrive il mio amico Leonardo "Perdere un sapore è perdere un sapere", e questo vale particolarmente in Romagna dove, citando Enzo Biagi, "il cibo entra in tutto e condiziona la vita".
Preparando questo libro ho cercato di ascoltare direttamente le persone e le loro esperienze vissute, o di consultare articoli e lettere pubblicati proprio nel periodo che volevo conoscere, per evitare il rischio di affidarmi ad informazioni che nei testi più recenti mi sono parse omologate e tramandate in modo poco aderente alla realtà. Non bisogna poi dimenticare che le realtà sono diverse e variegate e dipendono spesso dal contesto ambientale e sociale, per cui anche un tempo, proprio come oggi, usanze e abitudini alimentari non erano uguali per tutti.
Nel progettare la struttura di quest'opera ho pensato alla relazione forte che esiste tra paesaggio, tavola e tradizione, e questo trinomio è proposto in ogni pagina. Fotografie di un territorio custodito dall'uomo e di paesaggi lasciati alla loro naturalezza, riflessioni e note sulle abitudini alimentari e sociali del nostro passato, ricette e immagini di alcune nostre pietanze tradizionali formano un quadro unitario che illustra frammenti della nostra identità romagnola. Quanto al titolo, tante volte ho sentito pronunciare in dialetto la frase "a pancia piena si ragiona meglio", che è un richiamo al valore attribuito in Romagna alla buona cucina. Mangiare bene, mangiare sano, mangiare i prodotti di stagione e del proprio territorio è un'immensa ricchezza per il palato, per la vista e per lo spirito.
Questo libro è una testimonianza di amore per la Romagna, una terra dal grande patrimonio culturale, che ho voluto fotografare sotto diverse prospettive, divertendomi a comporre le materie prime come visi romagnoli o creature fantastiche della tradizione, e rappresentando le passioni della nostra gente come il ballo, la bicicletta, i motori.
Dalla nostra storia possiamo partire per suscitare e condividere nuove emozioni.
Mirco Villa
Copertina: Flessibile con carta patinata opaca verniciata da 300 gr
Confezione: brossura filo refe
Pagine: due volumi per un totale di 348 pagine, carta patinata 150 gr
Dimensioni: 24x22 cm
Anno pubblicazione: 2016-2018
Lingua: Italiano
Prezzo di copertina: € 64